Ue, la Strategia per imporre la dittatura Lgbt entro il 2030
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In corso la procedura di Bruxelles per adottare la “Strategia 2026-2030 per l’uguaglianza LGBTIQ”. Un piano totalitario, promosso dalla Commissione von der Leyen, che dietro il paravento della lotta alle discriminazioni prevede vari privilegi e fondi per le organizzazioni gay. E minaccia libertà di espressione e di religione.

Reprimere l’uguaglianza in nome dell’uguaglianza. Si può sintetizzare così il documento preparatorio dell’iniziativa della Commissione europea che ha per titolo: “Unione di Uguaglianza: strategia 2026-2030 per l’uguaglianza LGBTIQ”. Una strategia, questa, che è direttamente promossa dalla presidente Ursula von der Leyen (che l’aveva preannunciata già nel luglio 2024, nel suo programma politico come candidata al suo secondo mandato alla guida della Commissione) e, dietro suo incarico, dalla commissaria per la Parità, Hadja Lahbib.
La Commissione europea, che intanto ha lanciato una consultazione pubblica (aperta fino al 24 giugno) per raccogliere pareri, prevede di adottare la nuova Strategia Lgbt entro il quarto trimestre del 2025. L’iniziativa rappresenta la prosecuzione della precedente, riguardante il periodo 2020-2025, e ha l’obiettivo dichiarato di «consolidare i progressi compiuti».
Se poniamo un attimo a mente quali sono alcuni di questi “progressi” conseguiti durante il primo mandato della von der Leyen, non c’è da stare tranquilli: ricordiamo, tra i tanti, gli attacchi continui e la sospensione dei fondi nei confronti di Polonia (quando ancora era sotto i conservatori) e Ungheria, i lauti finanziamenti di progetti e organizzazioni che promuovono l’agenda Lgbt, il tentativo di imporre a tutti gli Stati membri gli effetti della maternità surrogata e la cosiddetta omogenitorialità attraverso l’escamotage del “certificato europeo di filiazione” approvato dal Parlamento europeo (vedi qui). Ora, appunto, lo scopo è proseguire nello stesso solco vincendo – in un modo o nell’altro – le resistenze residue a tutta la gamma di rivendicazioni arcobaleno.
Il documento della Commissione è infarcito di una serie di termini-chiave (da «discriminazione» a «discorsi d’odio») che da anni sono usati come leva per scardinare gli ordinamenti dei singoli Stati. In questa strategia comunicativa rientra anche la deprecazione di chi la pensa diversamente: ad esempio, il documento si appoggia ai risultati di un’indagine condotta all’interno della comunità Lgbt dall’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali (FRA), classificando come «odio» e «dichiarazioni odiose» l’uso di espressioni come «propaganda LGBTIQ» e «ideologia di genere». Il che fa intuire quale idea di libertà di espressione hanno certe lobby e classi politiche europee.
È un’idea evidentemente da neo-totalitarismo, che per alimentarsi ha bisogno di mistificare di continuo le informazioni, presentando come carnefici quelle persone e quei gruppi che cercano di difendere le verità alla base della convivenza umana, quali il fatto che il matrimonio può essere solo tra uomo e donna, e che si nasce e si è maschi o femmine. Un neo-totalitarismo evidente già nell’ampiezza degli obiettivi che la Commissione si pone con la Strategia Lgbt per il 2026-2030.
Il documento preparatorio recita testualmente: «La strategia dovrebbe comprendere azioni volte a: (i) proteggere le persone LGBTIQ dall'incitamento all'odio, dai crimini d'odio e dalla discriminazione in tutte le sue forme; (ii) costruire società europee più accoglienti per le persone LGBTIQ e le organizzazioni che le rappresentano; (iii) promuovere l'emancipazione delle persone LGBTIQ e garantire pari opportunità in diversi ambiti della vita, quali l'occupazione, l'istruzione e la salute, in tutte le regioni dell'UE (comprese le zone rurali e remote); (iv) difendere i diritti delle persone trans, intersessuali, non binarie e delle famiglie arcobaleno; e (v) promuovere la collaborazione con gli Stati membri, le autorità locali e i partner internazionali per sostenere l'uguaglianza, integrando al contempo l'uguaglianza delle persone LGBTIQ in tutte le politiche e i fondi dell’UE».
Ora, la “discriminazione” e “l’incitamento all’odio” sono dei paraventi: nessuna persona di buona volontà sostiene che bisogna discriminare ingiustamente o addirittura odiare coloro che si identificano come Lgbt. Anzi, è vero l’opposto: chi ama queste persone, cercherà di far capire loro, con carità, che sono nell’errore, perché la dignità della loro natura umana li chiama a qualcosa di ben più elevato di quanto le organizzazioni Lgbt rivendicano. Li chiama cioè a ricordare che «non c'è libertà al di fuori o contro la verità», come spiegava san Giovanni Paolo II nella Veritatis Splendor, aggiungendo che «solo nell’obbedienza alle norme morali universali l'uomo trova piena conferma della sua unicità di persona e possibilità di vera crescita morale»; norme che a loro volta sono il presupposto per il rispetto dell’autentica uguaglianza di tutti gli uomini, «accomunati nei diritti e doveri» (VS, 96).
L’attuale Commissione europea, invece, gioca sulla mistificazione di cui dicevamo, puntando a creare nuovi e ingiustificati privilegi per le persone Lgbt, il che comprimerà inevitabilmente i diritti di tutti gli altri comuni mortali.
Tra gli obiettivi dichiarati già nella lettera d’incarico scritta dalla presidente von der Leyen alla commissaria Lahbib, c’è anche quello di «vietare la pratica della terapia di conversione», come vengono spesso spregiativamente indicate tutte quelle forme di aiuto – psicologico e anche spirituale – rivolte alle persone che sono confuse sulla propria identità sessuale. Peccato che un eventuale divieto di questo tipo toccherebbe chi, nel mondo Lgbt, volontariamente cerca di superare la suddetta confusione. Un divieto che potrebbe portare a vietare – secondo una linea emersa già nei progetti di legge di certi Paesi – anche le preghiere a sostegno del recupero dell’identità sessuale perduta.
Ancora, la Commissione riconosce che «molti ambiti politici relativi alla parità delle persone LGBTIQ rientrano nella giurisdizione nazionale», ma al contempo scrive che «l'UE svolge un ruolo fondamentale nel fornire orientamenti politici, coordinare l'azione degli Stati membri, monitorare i progressi, offrire sostegno attraverso i fondi dell'UE e facilitare lo scambio delle migliori pratiche». Detto in altri termini, tutto ciò si tradurrà in nuove pressioni – anche economiche – verso i singoli Stati membri.
La Strategia Lgbt, secondo il documento, sarà coordinata con altre iniziative comunitarie, come quelle «sui diritti dei minori», la «parità di genere» e l’«antirazzismo». In più, si propone esplicitamente come un mezzo per far avanzare gli Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Onu (in specie il n. 5, «Parità di genere», e il n. 10, «Ridurre le disuguaglianze»).
Il documento della Commissione si richiama pure alla dichiarazione firmata nel maggio 2024 da 20 Stati membri (più altri Paesi europei extra UE), che si sono impegnati a lavorare insieme per una nuova strategia Lgbt. Tra quei 20 Paesi non figura l’Italia, ma questo è il minimo, perché sarebbe auspicabile che il nostro governo contrasti decisamente queste derive, sia a Bruxelles che all’interno del nostro Paese, dove invece il centrodestra tiene in materia un atteggiamento ondivago.
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