Il matrimonio non è un ideale: così Leone XIV "corregge" Francesco
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Nell'omelia pronunciata per il Giubileo delle Famiglie, il Papa nega il presupposto di tutti gli equivoci provocati da Amoris laetitia, tornando alla concezione classica della morale che Giovanni Paolo II aveva fissato nella Veritatis splendor.

Il discorso del Santo Padre Leone XIV ai pellegrini per il Giubileo delle famiglie, dei nonni e degli anziani è ricco di contenuti e non basterebbe un articolo per segnalarli. Mentre si rimanda alla lettura personale del testo, può essere utile mettere in luce un passaggio, breve per numero di parole ma denso ed efficace dottrinalmente, che corregge nella sostanza i presupposti teologici e pastorali di Amoris laetitia (AL). Sul piano formale un discorso non è in grado di cancellare una Esortazione apostolica, ma su quello sostanziale e strettamente teologico lo ha fatto e ciò fa sperare in qualche altro passo più autenticamente magisteriale. Il breve discorso è il seguente: «Per questo, col cuore pieno di riconoscenza e speranza, a voi sposi dico: il matrimonio non è un ideale, ma il canone del vero amore tra l’uomo e la donna: amore totale, fedele, fecondo (Cfr. S. Paolo VI, Lett. Enc. Humanae vitae, 9)”.
“Il matrimonio non è un ideale”, ma quando in Amoris laetitia si parla delle cosiddette situazioni “irregolari”, come le convivenze senza matrimonio o dopo un divorzio, le si considera come una situazione di inadeguatezza rispetto alla pienezza di quanto propostoci da Cristo. Non come qualcosa di contrario e incompatibile ma come qualcosa di inadeguato, a causa della fragilità umana o delle circostanze della vita. Qualcosa di inadeguato non è un male da condannare o da evitare, ma è comunque qualcosa di positivo, pur se non completamente, da far crescere e migliorare. Tutti siamo già sulla buona strada, solo che qualcuno è più avanti e altri più indietro.
Per esempio, all’inizio dell’Esortazione, Francesco dice: «Quindi mi soffermerò su un invito alla misericordia e al discernimento pastorale davanti a situazioni che non corrispondono pienamente a quello che il Signore ci propone». Il peccato, secondo Amoris laetitia non è una risposta sbagliata ma una risposta non pienamente corrispondente. A proposito dell’episodio evangelico della Samaritana, il testo di AL dice: «… e poi sola con Gesù che non la condanna e la invita ad una vita più dignitosa»; il che fa pensare che anche l’adulterio abbia comunque già qualche aspetto dignitoso.
Uno degli aspetti più dirompenti dell’Esortazione è quanto espresso nel paragrafo 303, secondo il quale la coscienza può riconoscere «con sincerità e onestà» che quella situazione irregolare è «la donazione che Dio stesso sta richiedendo in mezzo alla complessità concreta dei limiti, benché non sia ancora pienamente l’ideale oggettivo».
Ecco la parola “ideale”, ripresa ora da Leone XIV per essere negata, un termine-chiave di Amoris laetitia allora fortemente contrastato dalla vecchia guardia dell’Istituto Giovanni Paolo II. Il cardinale Caffarra aveva osservato, tra il pianto e l’ironia: «L’indissolubilità, più in generale il matrimonio inteso cristianamente, non è un ideale, una sorta di meta da raggiungere e verso cui tendere. Vorrei vedere la reazione di una sposa a cui il marito dicesse: “Guarda che la fedeltà a te è per me un ideale verso cui cerco di tendere, ma che non posseggo ancora”».
Quando si presentano le situazioni irregolari come tappe positive verso il matrimonio, si afferma che è possibile vivere come marito e moglie senza esserlo. Il cardinale Velasio de Paolis aveva scritto durante il doloroso confronto di ormai dieci anni fa: «Ciò che non è ammissibile per la legge morale e divina è proprio che due persone che non sono coniugi vivano come tali … Sarebbe la distruzione totale del rapporto matrimoniale e della famiglia e cadrebbe tutta la legge morale sulla sessualità».
Il breve passo del discorso di Leone XIV ripristina quindi la verità su uno snodo molto importante, il suo accenno comporta la revisione dell’intera Esortazione apostolica che su quello si fondava, e rappresenta anche, implicitamente, una risposta sintetica ai famosi Dubia dei Cardinali. Contemporaneamente è anche un ritorno alla Veritatis splendor di Giovanni Paolo II. Se la morale divina presenta solo un “ideale” e non è una “prescrizione”, allora non si possono dare leggi divine valide sempre e per tutti. La Veritatis splendor, però, condanna le posizioni morali che «ritengono non si possa mai formulare una proibizione assoluta di determinati comportamenti che sarebbero contrastanti, in ogni circostanza e in ogni cultura, con quei valori» (n. 75). Non è possibile valutare certi comportamenti come ingiusti o sbagliati e contemporaneamente valutare come giusta e buona la volontà della persona che li sceglie. La tendenza al fine della volontà di chi agisce è certamente importante, ma questa si realizza quando si realizzano i contenuti buoni dell’agire umano.
Se cade il principio della legge morale divina come “ideale” e si ritorna alla Veritatis splendor può anche essere ripresa la dottrina delle azioni intrinsecamente cattive (intrinsece mala e, sul piano politico, principi non negoziabili) e, auspicabilmente, si potrà tornare a parlare di “natura” e di legge morale naturale, espressioni di cui si era persa ogni traccia.
Sanare la ferita provocata da Amoris laetitia
Con l’Esortazione apostolica postsinodale Amoris laetitia, il pontificato di Francesco ha inferto una profonda ferita alla Chiesa. Una ferita che dovrà essere sanata se si vorrà che essa ritrovi unità interiore e pace.
Da Amoris Laetitia a Fiducia Supplicans, la morale ribaltata
In tema di morale naturale il pontificato di Francesco ha segnato una rottura con la dottrina cattolica, sia a livello di documenti ufficiali che di dichiarazioni informali (vedi lode a Emma Bonino). Il suo tratto tipico: l’elaborazione di una morale senza metafisica, slegata dal vero e dal bene.